Memoria e bambini. Davvero non c’è alcun modo per i bambini di ricordare?

Qualche anno la memoria infantile era di interesse generale, tanto da essere diventato quasi un gioco di società il chiedersi reciprocamente a quanto indietro risalisse il primo ricordo nitido della propria vita. Molti asserivano di ricordarsi bimbi in culla, con i giochini colorati e dondolanti appesi sopra la testa. Le ricerche neuro scientifiche condotte sono venute a spegnere queste illusorie memorie, quando hanno chiarito che il sistema ippocampale e le aree orbito-frontali – insieme responsabili della nostra memoria episodica (autobiografica) – non maturano fino ai 2 – 3 anni e quindi prima non vi è la possibilità fisiologica di elaborare ed immagazzinare ricordi.

E’ invece ovviamente possibile, prima dei due anni, sviluppare memorie implicite, inconsapevoli e persino memorie semantiche (cose, informazioni, associazioni ed eventi). Sin da neonato, infatti, il bambino riconosce l’odore della sua mamma e la sua voce. A un anno può emozionarsi quando identifica il rumore di un’auto che si ferma davanti a casa se la riconosce come quella della mamma o del papà. Sviluppa poi quella che gli studiosi hanno chiamato conoscenza generale degli eventi, che implica anche una memoria sequenziale di accadimenti che si sono verificati.

È solo dai due anni, però, che il bambino è in grado di ricordare se stesso all’interno di un’esperienza e compiere quelli che un grande studioso della memoria, Elvin Tulving, ha chiamato i viaggi nel tempo: rievocare se stessi in un luogo e tempo particolari del nostro passato. L’atteggiamento ed il rapporto con i genitori potranno accelerare e migliorare molto la capacità del bambino di memorizzare la sua vita. Risulta infatti che i genitori che utilizzano forme di comunicazione più elaborative (raccontano storie ed invitano il bambino a parlarne, discutendo anche delle sue emozioni e delle sue congetture) stimolano nel bambino un senso di ricordo autobiografico più complesso e articolato. I genitori, per contro, che si limitano a parlare di fatti e cose (e non coinvolgono il bambino in una discussione relativa ai propri stati mentali e pensieri), non attivano nei figli processi di memorizzazione episodica.

Da: Daniel J. Siegel, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Cortina, 2001
Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/dee_lightful/2203945707/)

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François, Jacob, Il topo, la mosca e l’uomo (1998)