Il mito dell'Alzheimer

Anche se noi tutti tendiamo a perdere gradualmente alcune funzioni cognitive man mano che invecchiamo, questo libro vuole dimostrare che non esiste una “malattia di Alzheimer” che si impadronisce di anziane vittime o che erode la nostra personalità. Qualora dovessimo ricevere un’etichetta di malattia di alzheimer o di "mci" (mild cognitive impairment, si tratta di uno stadio che per gli studiosi precede quello di demenza, ndr) dovremmo ricordare che il declino cognitivo non segue un’unica traiettoria né procede attraverso una serie di tappe obbligate. Questa non è una semplice disquisizione semantica sui termini “malattia di alzheimer” e “senilità”. Gli scienziati non concordano ancora su che cosa sia veramente l’Alzheimer. Come vedremo, si tratta di una malattia priva di una definizione chiara; non c’è consenso unanime sul modo di differenziare con certezza questa malattia dal normale invecchiamento, tanto che ogni diagnosi può essere solo “possibile” o “probabile”, e ogni singolo caso ha un decorso individuale e imprevedibile. Le terapie attualmente disponibili non sono efficaci e quando si parla di “cura” ci si basa sulla fede nella scienza e non su un’analisi accurata dei dati scientifici. Una cosa però la sappiamo: la malattia di alzheimer è diventata un’impresa multimiliardaria e l’etichetta di ad (=malattia di alzheimer) viene in gran parte promossa dalle aziende farmaceutiche e da alcuni illustri accademici. Questi e altri soggetti sfruttano da un punto di vista imprenditoriale la rappresentazione iperbolica dell’ad per focalizzare l’interesse sulla demenza, massimizzare il sostegno alla ricerca e tenere in piedi l’impero clinico che è stato costruito intorno all’alzheimer. La storia medicalizzata dell’ad genera paura, paranoia, angoscia ed emarginazione evocando immagini potenti, che condizionano i malati e la società. Una diagnosi di ad può corrispondere all’emissione di una sentenza che imprigiona nel braccio della morte intellettuale molte persone anziane che sono ancora in buone condizioni funzionali. Nel tentativo di rimuovere dal decadimento cognitivo quel senso di disonore che vi si associa, utilizzando un’etichetta che potesse assolvere gli individui da ogni colpa, abbiamo invece peggiorato l’ostracismo che i pazienti subiscono. Le parole che scegliamo per descrivere le malattie possono essere nocive da un punto di vista sia personale sia sociale.

Tratto integralmente da un libro che merita una lettura attenta e stimola alla riflessione: PETER WHITEHOUSE, Il mito dell’Alzheimer. Quello che non sai sulla malattia più temuta del nostro tempo, CAIROEDITORE, 2011, pag. 24

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