Il processo di Erba ad una svolta. Arriva il supertestimone

Processo di Erba giunto, forse, alle sue battute finali. Il supertestimone Mario Frigerio ha riconosciuto ed inchioda Olindo Romano. E' stato lui. "L'ho riconosciuto, era proprio il mio vicino di casa". Si complica ulteriormente la posizione del Romano, accusato insieme alla moglie dell'omicidio di quattro persone nel dicembre del 2006. Questa testimonianza contrasta con altre rese in precedenza dal Frigerio quando, al risveglio dopo i tragici eventi, sembrava aver riconosciuto un uomo di colore come autore dell'eccidio. Ma la certezza di oggi cancella i dubbi e le incertezze di ieri.
Resta però, legittima, una domanda. Quale affidabilità è giusto riconoscere ad un testimone, sia pure uno definito “super", che vive una situazione così drammaticamente sconvolgente come quella di Erba?
Purtroppo gli studi che sono stati condotti a proposito delle testimonianze oculari invitano a tanta cautela. Secondo stime effettuate alla fine degli anni Ottanta, ogni anno negli Stati Uniti oltre 75.000 sentenze penali vengono emesse in base alla deposizione di un testimone oculare. Una recente analisi ha rivelato che, su 40 casi in cui la prova del DNA ha stabilito l’innocenza di imputati detenuti, 36 (pari a nove su dieci!) si basavano su identificazioni errate da parte di testimoni oculari. E’ emblematico il caso capitato ad uno psicologo, Donald Thomson, accusato parecchi anni fa di violenza carnale sulla base di un riconoscimento da parte della donna stuprata, che aveva ricordato e descritto il suo viso nei minimi dettagli. Per sua fortuna, fu scagionato perché al momento dello stupro stava rilasciando un’intervista televisiva in diretta. La vittima aveva guardato la trasmissione e aveva attribuito il ricordo del suo volto al violentatore, per un errore di attribuzione (in termini tecnici: errori di congiunzione mnestica). La familiarità, purtroppo, sembra favorire questi fenomeni.
Questo “difetto” della nostra memoria, che talvolta collega ed associa informazioni relative a contesti e situazioni del tutto indipendenti, è purtroppo ulteriormente aggravato dalle modalità in cui viene richiamato il ricordo. La tecnica di interrogatorio, da questo punto di vista, può involontariamente guidare il testimone verso forme di identificazione non appropriate. Nel classico riconoscimento all’americana, per esempio, sembra che il meccanismo mentale sia quello di un progressivo avvicinamento: il testimone cioè procede scartando per difetto, più che riconoscere per identificazione (se la persona incriminata del fatto è un uomo alto coi capelli scuri, si scartano prima tutti quelli bassi e/o coi capelli chiari e così via). Da questo punto di vista, un riconoscimento fatto vedendo non più persone insieme, bensì una alla volta, sarebbe certamente più affidabile. E’ pertanto di buon auspicio che nel 1998 il ministro della giustizia statunitense, Janet Reno, abbia formato un gruppo di lavoro composto anche da psicologi per rivedere le direttive di massima per la raccolta delle testimonianze. E' bene ricordare che la nostra memoria è una "benedizione degli dei", ma purtroppo talora è fallace e non ci è quasi mai dato di sapere quando questo avvenga.
http://www.asgmedia.it/asg/page.asp?VisImg=S&Art=47496&Cat=1&I=3355&IdTipo=0&TitoloBlocco=Dall'Italia
Fonte: Ross D.F. et al, 1994, Unconscious transference and mistaken identity. When a witness misidentifies a familiar but innocent person, in “Journal of Applied Psychology”, 79, pp 918-930
Thomson D.M., 1988, Context and false recognition, in Davies G.M., Thomson D.M. (a cura di), Memory in context. Context in memory, Chichester, England, John Wiley.

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Il secolo che sta volgendo al termine è stato dominato dagli acidi nucleici e dalle proteine. Il prossimo si concentrerà sulla memoria e sul desiderio. Sarà in grado di rispondere alle domande che questi temi sollevano?
François, Jacob, Il topo, la mosca e l’uomo (1998)