Noi siamo i nostri geni? La clonazione e l’eterno dibattito natura-cultura.

La Repubblica di ieri dedica la pagina iniziale del supplemento Scienze al “sensazionale annuncio” di un’azienda coreana, la Rnl Bio, che ha accettato di clonare un cane già morto per la modica cifra di cinquantamila dollari (un terzo del compenso normalmente richiesto per quest’operazione, sconto concesso per la pubblicizzazione del caso). Committente: una cinquantenne californiana che sembra non rassegnarsi alla perdita del suo amato pitbull. Il cucciolo che ha fatto tanto parlare di sé nascerà a febbraio, si chiamerà Booger II o Booger jr.
Benché il genetista italiano Bruno Dalla Piccola inviti alla prudenza, la possibilità della clonazione riapre la porta al desiderio più imperituro dell’uomo, quello faustiano dell’immortalità, e all’antica diatriba tra natura e cultura. Noi siamo i nostri geni? Si può davvero prendere il dna di un mammifero morto e sperare che un’intraprendente azienda coreana in cerca di profitti possa riportarcelo in vita? Dalla Piccola avverte che “non è garantita l’identità dell’animale, non basta reimpiantare il dna, perché durante la gestazione dell’esemplare clonato intervengono molteplici fattori che comportano successive variazioni, nell’aspetto e nel carattere. Magari sul mantello dell’animale le macchie avranno un’altra disposizione e il clone di un cane docile si potrebbe rivelare aggressivo”.
Stupisce, nel fenomeno, nell’articolo e nelle dichiarazioni del genetista, il totale disinteresse per il ruolo della cultura, dell’ambiente, dell’apprendimento. Sembra che l’eterna disputa natura-cultura, oggi, sia stata scardinata dalla indiscussa superiorità della genetica che può spostare qualche macchia sul mantello, produrre un temperamento diverso, subire variazioni nella fase di gestazione e in questo modo rendere diverso ciò che sarebbe uguale. C’è il completo disconoscimento che i geni spiegano al massimo il 50% di un determinato tratto, e in varie circostanze di gran lunga meno. Come scrive Joseph Le Doux nel suo Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo (pubblicato da Cortina, 2002): “L’apprendimento e il suo esito sinaptico, la memoria, hanno ruoli importanti nel tenere insieme una personalità coerente, dal principio al fine della vita. Senza i processi di apprendimento e la memoria, la personalità sarebbe solo una’espressione vuota e impoverita della nostra costituzione genetica”. Detta in parole più semplici, il Booger che la signora rimpiange non era solo e tanto nei geni, ma era verosimilmente l’animale “formato” dalle esperienze (comuni e separate) fatte insieme e dall’adattamento reciproco intercorso durante il consolidarsi della loro relazione. Come un altro francese, Antoine de Saint Exupery, fa dire al Piccolo Principe “è il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante. Gli uomini hanno dimenticato questa verità, ma tu non la devi dimentare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa”. Anche del suo dna e della sua memoria, verrebbe da aggiungere.
http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/scienza_e_tecnologia/animali-clonati/animali-clonati/animali-clonati.html
Fonte: Joseph Le Doux, Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo, Cortina, 2002
Antoine de Saint Exupery, Il Piccolo Principe, Bompiani, 1999

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François, Jacob, Il topo, la mosca e l’uomo (1998)