Il mio libro è menzogna.

Il Corriere della Sera di ieri apre il supplemento cultura con il caso di cui in questi giorni tanto si parla nel mondo letterario. Il libro Sopravvivere con i lupi, autobiografia di Misha Defonseca, storia di una ragazzina di otto anni che viene adottata da uno zio - dopo la deportazione dei genitori per opera dei nazisti - e che, fuggita per andare alla ricerca dei genitori, si perde nelle foreste polacche e viene adottata da alcuni lupi. Storia avvincente, bestseller tradotto in quindici lingue dal quale è stato tratto un suggestivo film visto da milioni di persone. Peccato che fosse tutto falso. L’hanno scoperto alcuni giornalisti del quotidiano belga Le Soir e lei, Misha Defonseca, l’ha ammesso davanti alle telecamera in una drammatica intervista-confessione. Tutto inventato, lei si scusa, non le piaceva la sua vita e si è raccontata una storia diversa, con persone (o meglio lupi) capaci di amarla. Ad un certo punto, vita e fantasia si sono mescolate insieme e per lei è stato difficile distinguere l’una dall’altra.
A volte, verrebbe da dire, la vita supera la fantasia. Potrà sembrarvi strano, ma quando c’è di mezzo la memoria questo succede (molto) più spesso di quanto crediamo. Se mettiamo da parte lo sconcerto e la riprovazione che possiamo provare per il caso della Defonseca ed andiamo a leggere più nel profondo, scopriamo che questa non è una vicenda isolata. E’ capitato per altri romanzi sedicenti autobiografici pubblicati nel passato, tutti aventi in qualche modo a che fare con l’Olocausto: Enric Marco, Conny Hannes Meyer, Binjamin Willkormiski. Un altro caso in certo modo più eclatante perché ha coinvolto molte persone risale al maggio del 2000, quando il New York Times descrisse il caso di Edward Daly, reduce della guerra del Corea che raccontava storie complicatissime (ma inventate di sana pianta) sulle sue imprese al fronte, compresa la partecipazione ad un’orrenda strage avvenuta realmente. Quando incontrò i veri protagonisti di quel massacro, Daly fu così dettagliato nel rammentare le gesta eroiche, che questi si convinsero della sua presenza e del suo importante ruolo nello stesso.
La psicologia chiama questo curioso, sconcertante fenomeno come la “suggestionabilità della memoria”. Rappresenta la tendenza ad incorporare nei propri ricordi informazioni fuorvianti che provengono da fonti esterne: altre persone, materiali scritti o immagini, addirittura mezzi di informazione. Succede, purtroppo, più spesso di quello che crediamo. Esperimenti scientifici condotti su soggetti sani e “normali” dalla psicologa Elizabeth Loftus hanno dimostrato che molti finiscono per credere di essersi smarriti in centri commerciali da piccoli o di aver maturato esperienze simili (mai realmente avvenute). Gli “pseudo ricordi”, o ricordi fasulli, sono legati a doppio filo con le immagini visive (chi ricorda lo fa in maniera vivida, fervida di particolari, per filo e per segno) e sono più frequenti nelle persone con grande immaginazione visiva.
La suggestionabilità della memoria è stata verificata anche nelle caso delle suggestioni ipnotiche, che possono invitare le persone a “ricordare” i primi mesi della propria vita (laddove non può esserci ricordo, in quanto le strutture cerebrali ippocampali a capo della memorizzazione non ultimano la propria maturazione e quindi funzionalità fino ai 3 anni circa). Ampie contestazioni sono state sollevate contro gli interrogatori condotti in maniera impropria, che “imbeccano” il testimone più che testarne l’effettivo ricordo, le cosiddette domande-suggerimento. Sono pericolosi soprattutto sui bambini: con la ripetizione e l’”assedio psicologico” si possono portare i minori ad ammettere quello che si vuole loro dicano, casi eclatanti negli Stati Uniti lo dimostrano...e forse anche a casa nostra.
Interessanti gli studi fatti dall’equipe di Saul Kassin del Williams College, che studiò in modo particolare le false confessioni. Kassin sostiene che, nelle giuste condizioni, si può indurre molti di noi a confessare qualcosa che non si è fatto. Si può cioè indurre la “sindrome di sfiducia nella propria memoria”, fenomeno a lungo studiato soprattutto dallo psicologo clinico Gisli Gudjonsson.
Negli anni novanta negli Stati Uniti è stata creata la False Memory Syndrome Foundation, ad opera di esperti e genitori incolpati dalle proprie figlie. Queste, ormai adulte, ricordavano - grazie alla psicoterapia - episodi di abuso subiti nell’infanzia e perpetrati dai padri. Grazie alla Fondazione, si attivarono molte ricerche da parte di equipe di psicologi (Loftus, Mazzoni e Hyman sono tre nomi di spicco, ancora oggi, nella ricerca sui falsi ricordi) e molte accuse vennero smontate da un confronto con la realtà che scagionò padri innocenti e figlie vittime di abusi mai avvenuti.
Questi risultati sono tanto sconcertanti che, penso, ognuno di noi penserà che sia solo la memoria degli altri ad essere così bizzosa ed inaffidabile. È più rassicurante pensare di poter contare su realtà e verità, nel passato e nel presente. Ma conoscere i propri limiti è l'unica maniera per gestirli e controllarli.

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Il secolo che sta volgendo al termine è stato dominato dagli acidi nucleici e dalle proteine. Il prossimo si concentrerà sulla memoria e sul desiderio. Sarà in grado di rispondere alle domande che questi temi sollevano?
François, Jacob, Il topo, la mosca e l’uomo (1998)